La proposta di istituire un Ministero della Pace (Il link alla registrazione del forum)
Non è un sogno ingenuo, né una proposta folkloristica per anime belle: è una necessità storica, culturale e politica. La richiesta di istituire un Ministero della Pace torna con forza e determinazione, rilanciata da Fondazione Fratelli Tutti, Azione cattolica italiana, Associazione comunità Papa Giovanni XXIII e Acli, insieme a oltre trenta realtà del mondo cattolico e associativo. Una rete compatta, unita da una consapevolezza ineludibile: la Pace non si proclama nei convegni, si costruisce ogni giorno, con strumenti concreti.
A Roma, nell’auditorium “Vittorio Bachelet” della Domus Mariae, si è rianimato il pensiero profetico e scomodo di don Oreste Benzi, che già negli anni Novanta – mentre la guerra devastava i Balcani – denunciava l’impotenza delle istituzioni e invocava un’iniziativa politica strutturata per contrastare la logica dei conflitti armati.
La sua intuizione oggi è più che mai attuale, in un mondo in cui il riarmo è tornato ad essere una priorità politica e la Pace sembra diventata una parola imbarazzante, quasi sovversiva. «Per preparare la Pace – ha detto Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli – bisogna prepararsi con scelte radicali, non con armi e paura.»
In concomitanza del vertice Nato all’Aja (24-26 giugno), che promette nuove impennate della spesa militare, la denuncia è chiara: alimentare la corsa agli armamenti significa legittimare la guerra come unico linguaggio tra le nazioni. Serve invece una rottura culturale: la Pace richiede educazione, relazioni, giustizia, riconciliazione. Non si difende con i carri armati, ma con politiche intelligenti, inclusive, coraggiose.



Ecco perché la proposta di un Ministero della Pace è tutt’altro che simbolica: è un atto politico forte, una scelta di campo alternativa alla logica del nemico e della forza. Questo ministero dovrebbe promuovere strumenti di mediazione e trasformazione nonviolenta dei conflitti, introdurre l’educazione alla pace nei curricula scolastici e universitari, sostenere i Corpi civili di Pace, incentivare la riconversione dell’industria bellica e rafforzare la cooperazione internazionale fondata su giustizia sociale e sostenibilità.
È, in sostanza, la creazione di un’infrastruttura istituzionale per il disarmo culturale, che metta radici nelle scuole, nella società, nella politica e nelle relazioni internazionali. Padre Francesco Occhetta, segretario generale della Fondazione Fratelli Tutti, ha indicato con chiarezza il cuore della proposta: «Non si tratta solo di evitare la guerra, ma di proporre un modo diverso di abitare il mondo, una giustizia non vendicativa, ma riparativa; un modello sociale non fondato sul dominio, ma sul dialogo». È un cambiamento antropologico prima ancora che politico: passare da una civiltà della paura a una civiltà della cura.
Matteo Fadda, presidente dell’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII, ha ricordato come l’intuizione di don Benzi fosse tutt’altro che generica: già negli anni ‘90 parlava di un organismo capace di incidere sui piani educativo, sociale, legislativo, diplomatico, fino alla sicurezza e alla difesa. Non un’idea astratta, ma una visione sistemica della Pace come opera da costruire attraverso istituzioni, leggi, linguaggi e relazioni.


Una visione, ha sottolineato Giuseppe Notarstefano presidente dell’Ac nazionale, che contrasta apertamente la narrazione dominante della guerra inevitabile. Lo scontro continuo tra Stati e potenze non è realismo politico, è cinismo che produce solo vittime. Serve invece una nuova alleanza tra popoli, fondata su multilateralismo, cooperazione e dialogo tra istituzioni pubbliche. La Pace non può più essere lasciata all’iniziativa dei “volontari”, dev’essere assunta come priorità dallo Stato.
Laila Simoncelli, coordinatrice nazionale della campagna per il Ministero della Pace, ha chiesto con forza di ricostruire istituzioni più sane e strutture più giuste. In grado di affrontare non solo i conflitti armati, ma anche le tensioni sociali, le diseguaglianze, le violenze diffuse che segnano il nostro tempo. Chi propone oggi un Ministero della Pace non è un idealista fuori tempo massimo. È un cittadino responsabile che rifiuta di accettare la guerra come destino, e sceglie di immaginare e costruire un’altra strada. Una strada difficile, certo, ma l’unica veramente sensata.
La Pace non è utopia. È una politica concreta. E ha bisogno di un’istituzione che la renda visibile, strutturata, permanente. Un Ministero della Pace non è solo possibile. È urgente e giusto. È già in ritardo. E adesso, tocca a noi.