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Ricerca precaria

Viaggio nella Fortezza dell’università italiana, dove tutto cambia ma il problema resta
23 giugno 2025 di Lorenzo Pellegrino
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A intermittenza, come una molla che va e che viene, si ritorna sempre ad accendere una piccola lampadina sulla condizione dei precari del mondo della ricerca e dell’università. Peccato che, al contrario, la condizione di chi vive appeso alla speranza di poter continuare a fare il proprio lavoro (tanto specializzato, quanto impoverito) non vive di stagioni alterne. Non ci sono entusiasmi e ritirate, solo un piatto immobilismo che non concede garanzie, promette illusioni e rimanda a un domani lontanissimo il tempo di diventare “adulti”.

Infatti, restando nella trappola del precariato universitario è quasi impossibile realizzare un progetto familiare o, comunque, intraprendere una vita adulta. Gli stipendi, che molto spesso sono “borse” o “assegni” (il linguaggio conta), sono insufficienti a sopportare inflazione, mercato immobiliare impazzito e continui spostamenti. Insomma, dietro la possibilità di un lavoro dignitoso si celano anni di solitudine altamente qualificata che nutre il sapere, ma svuota i portafogli e ammazza lentamente i sogni di giovani che amano ancora lo studio.

Università. Come nel romanzo di Dino Buzzati

Lo avete mai letto il Deserto dei tartari di Dino Buzzati? In breve e senza spoiler è il racconto di un giovane soldato, Drogo, che attende una guerra che dia valore al suo ruolo e alla sua vita. La attende per anni e sacrifica la sua esistenza sull’altare della speranza, restando prigioniero di un tempo vuoto. Credo che non esista una metafora migliore per l’esperienza del precariato universitario. Nel caso dell’accademia italiana, la fortezza Bastiani non è solo un luogo ma una vera condizione di isolamento. Peraltro, spesso per restare all’università bisogna spostarsi, rincorrendo possibilità in giro per il mondo, perché fermarsi in un posto solo è segno di debolezza e di scarsa disponibilità al sacrificio.

Lo scorso 3 giugno, dopo un non troppo lungo iter parlamentare, è stato approvato alla Camera l’emendamento Occhiuto-Cattaneo al DL 45/2025 con il quale sono state introdotte due figure di pre-ruolo nell’ordinamento giuridico:

  • gli incarichi post-doc, ovvero incarichi di collaborazione della durata di 1-3 anni riservati ai dottori di ricerca, che prevedono attività didattica e di terza missione oltre alla più classica ricerca scientifica;
  • gli incarichi di ricerca, ovvero borse destinate a laureati da non più di sei anni, che dovrebbero introdurre giovani alla ricerca sotto la supervisione di un tutor.

Si allunga il precariato e si allontana la ricerca

In poche parole, i primi sono cugini stretti dei vecchi posti da RTDa (ricercatori a tempo determinato di tipo A) con piccole differenze di mansioni e di termini contrattuali che, per lo meno, riconoscono alla ricerca la dignità di lavoro. I secondi, invece, sembrano riproporre gli assegni di ricerca aboliti, offrendo strumenti agili che, per conferimento diretto, rischiano solo di allungare i tempi del precariato, anziché aprire ai laureati una finestra per sbirciare nel mondo della ricerca.

In tutto questo, la riforma approvata prevede anche il depotenziamento della tenure track, ovvero della forma onerosissima e “ordinaria” di accesso al ruolo universitario: 6 anni di ricerca, durante i quali dopo 3 anni si può partecipare ai concorsi da associato. Con l’approvazione del decreto in questione, si scende fino a un anno. Questi contratti, introdotti dal governo Draghi, dovevano porre fine al prolungamento continuo del precariato perché, oltre a tracciare una strada preferenziale, riconoscevano ai ricercatori alcuni diritti (malattia, ferie, tredicesima e contributi congrui) mai garantiti. Tuttavia, è quasi impossibile garantire l’apertura di bandi per queste posizioni: con i 37,5 milioni del PNRR se ne coprono non più di quattrocento (i precari in Italia sono circa 40.000).

Informarsi è una responsabilità alla quale non si può venir meno

In questa atmosfera di tensione, in cui anche alcune figure di spicco dell’università italiana lamentano insieme ai sindacati l’inadeguatezza di questa proposta, informarci è una responsabilità alla quale non si può venir meno. Allo stesso tempo è importante dare volti e nomi a chi vive in questo limbo. Per questo motivo, il CNG promuove una raccolta dati per evidenziare le criticità esistenti e promuovere politiche più eque e inclusive nel settore della ricerca. Si tratta di un questionario anonimo, dedicato a dottorandi, assegnisti e ricercatori e reperibile a questo link.

L’università italiana non può continuare a dissanguarsi. Le fughe all’estero sono inevitabili se non impariamo a conoscere le difficoltà e se non attuiamo riforme pensate e costruite per garantire dignità a chi ci lavora. Le strade percorse sinora continuano a sostenere la Fortezza Bastiani di un’accademia troppo vecchia, localistica e povera di risorse, in cui l’unica guerra che bisognerebbe combattere si chiama precariato. Ma, alla fine, le munizioni al fronte non arrivano e la ricerca resta un privilegio per pochi, un sacrificio per tanti e una trappola invisibile per tutti.

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