«La pace sia con tutti voi!». Quando ho ascoltato la prima parola, questa parola di pace, che papa Leone XIV ha rivolto al popolo riunito in piazza san Pietro, lo scorso 8 maggio subito dopo la sua elezione al soglio pontificio e durante la prima benedizione Urbi et Orbi, ho avuto nel cuore un sussulto di gioia. Una gioia piena, autentica, commossa, perché quel saluto di pace entrava nel nostro cuore, raggiungeva le nostre famiglie e insieme tutti popoli della terra. La pace si fa con atti concreti, per chi crede con le preghiere, ma è anche una predisposizione dell’anima. Il Papa ci ha indicato subito la via. «Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente».
Una pace disarmata e disarmante
È proprio vero. Per una pace giusta, duratura e liberante, abbiamo bisogno di una pace disarmata e disarmante, pronta a costruire ponti con il dialogo e l’incontro. Lo abbiamo imparato da papa Francesco, che si è speso fino alla fine per la pace, non eludendo le difficoltà, le incomprensioni e le distanze tra i popoli. Attraverso l’enciclica Fratelli tutti abbiamo capito che la pace non può camminare per conto proprio, come se la giustizia, economica e sociale, la solidarietà, l’ambiente, il creato, non le siano accanto. Una pace che va cercata e provata, prima nel nostro cuore, e poi sperimentata sul campo, abbracciando sempre l’Altro.
Pax et bonum
Come Azione cattolica nazionale e come Forum internazionale di Azione cattolica, insieme all’Istituto di diritto internazionale della pace Giuseppe Toniolo, crediamo nella pace dei cuori. Proprio domenica scorsa, all’interno di Un minuto per la pace proposto dal Fiac, abbiamo riflettuto sul messaggio francescano Pax et Bonum e sul diritto internazionale nella policrisi globale. Infine, abbiamo realizzato una fiaccolata per invocare la pace. E il prossimo 24 giugno, insieme alla Comunità Giovanni XXIII e altre realtà del mondo associativo, proporremo un focus sul Ministero della Pace.
Ma in tutto ciò ci facciamo guidare, ancora, dalle parole di Leone XIV, che lo scorso 16 maggio, ha ricevuto in udienza i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in occasione dell’inizio del Suo ministero petrino. Il Papa ci raccomanda di tenere presenti tre parole-chiave, che costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa.
La prima parola è pace (Ponti in dialogo con l’umanità ferita)
«Nella prospettiva cristiana – come anche in quella di altre esperienze religiose – la pace è anzitutto un dono: il primo dono di Cristo: “Vi do la mia pace” (Gv 14,27). Essa è però un dono attivo, coinvolgente, che interessa e impegna ciascuno di noi, indipendentemente dalla provenienza culturale e dall’appartenenza religiosa, e che esige anzitutto un lavoro su sé stessi. La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi».
In questo senso, il Papa ci ricorda che il dialogo interreligioso può essere davvero fecondo per favorire contesti di pace. Un dialogo che esige il pieno rispetto della libertà religiosa in ogni Paese, poiché l’esperienza religiosa è una dimensione fondamentale della persona umana. «A partire da questo lavoro, che tutti siamo chiamati a fare, si possono sradicare le premesse di ogni conflitto e di ogni distruttiva volontà di conquista». Ecco perché è necessario ridare spazio alla diplomazia multilaterale e a quelle istituzioni internazionali che sono state volute proprio «per porre rimedio alle contese che potessero insorgere in seno alla Comunità internazionale».
La seconda parola è giustizia
Perseguire la pace esige di praticare la giustizia. «Come ho già avuto modo di accennare, ho scelto il mio nome pensando anzitutto a Leone XIII, il Papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum. Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali. Occorre peraltro adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società».
La terza parola è verità
Serve per costruire relazioni veramente pacifiche, e la Chiesa non può esimersi «dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche a un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione. La verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna. D’altronde, nella prospettiva cristiana, la verità non è l’affermazione di principi astratti e disincarnati, ma l’incontro con la persona stessa di Cristo, che vive nella comunità dei credenti. Così la verità non ci allontana, anzi ci consente di affrontare con miglior vigore le sfide del nostro tempo, come le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata Terra».
Tre parole per tre sfide, che sentiamo nostre e che vogliamo affidare al nostro impegno. Richiedono tutta la nostra attenzione, perché nessuno può pensare di affrontarle da solo. Ma solo con la verità e la giustizia la parola “pace” comincerà a incarnarsi nelle coscienze dei popoli della terra.