Accogliamo e ci associamo con profonda solidarietà all’appello lanciato ieri sul quotidiano La Repubblica dalla signora Armanda Colusso Trentini, madre di Alberto Trentini ingiustamente detenuto nella prigione di El Rodero, vero e proprio inferno dantesco vicino a Caracas, in Venezuela.
Alberto, 46enne operatore umanitario veneziano che lavora per la Ong francese Humanity & Inclusion, impegnata nell’assistenza a persone con disabilità, dal 17 ottobre 2024 si trovava nel Paese sudamericano, quando il 15 novembre è stato improvvisamente fermato a un posto di blocco. L’accusa di cospirazione è apparsa subito del tutto infondata, e le circostanze reali dell’arresto rimangono tutt’ora oscure. Non è mai stato formalizzato alcun processo. Lasciando Alberto in una condizione di totale incertezza e vulnerabilità.
«È passato un anno da quando Alberto è stato arrestato in Venezuela, un anno di attesa insopportabile per lui e per noi. Domani (oggi per chi legge, ndr) ci incontreremo a Milano per parlare ancora una volta di lui», scrive la mamma di Alberto su La Repubblica. «Chiedo a tutti di non stancarsi mai di sostenerlo, perché solo una forte pressione mediatica può convincere chi ha il potere a intervenire e riportarlo finalmente a casa. Alberto ha dedicato la sua vita agli altri, e ora è lui ad avere bisogno di noi: scrivete, parlatene, insistete, perché chi deve decidere lo faccia senza più tentennamenti, come è successo per altri nostri connazionali».
In realtà, Alberto una “colpa” ce l’ha: quella di essere cittadino italiano. Appartenente a un Paese che non riconosce le elezioni che nel 2024 hanno confermato Nicolás Maduro al comando del Venezuela. Un Presidente padrone in carica dal 2013, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità e di persecuzione politica contro ogni forma di opposizione.
L’arresto di Alberto, motivato da accuse pretestuose, appare chiaramente un segnale di ostilità nei confronti di chi proviene da Paesi considerati critici nei confronti del regime.
È vero, Maduro è un interlocutore difficile. Eppure il Governo italiano deve perseguire ogni possibile via diplomatica per restituire ad Alberto la libertà e riportarlo alla sua famiglia. È fondamentale rompere il silenzio che avvolge la vicenda. La visita dell’ambasciatore italiano in Venezuela, Umberto De Vito, aveva acceso una piccola speranza, ma da allora ogni sviluppo sembra essersi arrestato. Lasciando Alberto in un limbo doloroso, sospeso tra paura e attesa.
La situazione internazionale, del resto, rende ancora più urgente una soluzione. Ora che il presidente americano Donald Trump ha indicato Maduro come bersaglio e il rischio di conflitto armato tra i due Paesi aumenta. In questo contesto instabile, ogni giorno di detenzione rappresenta un pericolo concreto per la vita e la sicurezza di Alberto. E come per lui, per tanti altri cittadini venezuelani e non, innocenti intrappolati in un sistema politico oppressivo.
Il caso di Alberto Trentini non è solo una questione personale o familiare: è un monito sulla fragilità dei diritti umani in contesti di dittatura e sull’importanza della diplomazia e della pressione internazionale. Alberto ha dedicato la sua vita agli altri, lavorando per i più vulnerabili; oggi è lui che ha bisogno della solidarietà di tutti noi.
Chiediamo con forza al Governo italiano di intensificare ogni sforzo diplomatico. Di fare pressione sui canali internazionali e di garantire che la vicenda di Alberto non cada nel silenzio. Allo stesso tempo, invitiamo i media, le istituzioni, le associazioni e i cittadini a continuare a parlare della sua ingiusta detenzione. Affinché la giustizia prevalga e Alberto possa tornare finalmente a casa.
Il tempo stringe, e la storia ci insegna che l’indifferenza può diventare complice dell’ingiustizia. Alberto Trentini merita libertà, protezione e dignità: non lasciamo che il silenzio decida per lui.