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Leone XIV, un Papa «mite e umile di cuore»

Molte sono le novità rappresentate dal nuovo Pontefice. La vasta formazione teologica e culturale, arricchita dalla spiritualità di sant’Agostino
12 luglio 2025 di Claudio Giuliodori
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Questo articolo è stato pubblicato su Vita e pensiero

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Editoriale gentilmente concesso e pubblicato su Vita e Pensiero (n. 3-2025), il bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica


Prima e durante il conclave tutti si chiedevano se il nuovo pontefice sarebbe stato in continuità o meno con papa Francesco. I nomi dei candidati venivano vagliati soprattutto con questo criterio, attribuendo agli uni o agli altri improprie categorie, più politiche che ecclesiali, come progressisti o conservatori. All’annuncio dell’Habemus papam e alla proclamazione dell’eletto c’è stato un momento di incertezza perché il nome del cardinale Robert Francis Prevost non era tra i più conosciuti. Sebbene non mancassero segnalazioni e apprezzamenti nei suoi confronti, certamente è stata una nomina che ha spiazzato molti e sovvertito i pronostici, come per altro è capitato spesso nella storia dei conclavi. La grande questione della successione a papa Francesco e della maggiore o minore continuità, che appariva dirimente e che avrebbe dovuto costituire la chiave di lettura della scelta fatta dai porporati, si è dissolta come la fumata bianca che ha annunciato l’elezione di Papa Prevost.

Nei primi discorsi sono ben riconoscibili riferimenti, anche con citazioni esplicite, a tutti i pontefici che, alla luce del Concilio Vaticano II, hanno guidato il cammino della Chiesa negli ultimi decenni. E soprattutto, in continuità con tutti, l’augurio e la richiesta di pace fin dalle prime parole del suo pontificato: «Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante» (Saluto e Benedizione, 8 maggio 2025) a cui ha fatto seguito il forte appello al Regina Caeli: «Mai più la guerra!» (11 maggio 2025). Il tema della pace è stato al centro anche dell’incontro con gli operatori dei media a cui ha detto: «Dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra» (12 maggio 2025). È stata anche la prima questione affrontata nel discorso al Corpo diplomatico, assieme ai temi della giustizia e della verità (16 maggio 2025). E anche all’incontro con le Chiese Orientali ha ricordato il comune impegno per la pace perché «I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo» (14 maggio 2025).

Il nuovo pontefice si è presentato subito con la sua identità e autonomia, emozionato certamente, ma libero e sereno, rispetto ad ogni tipo di aspettativa. Le prime parole pronunciate dalla loggia e poi l’omelia della prima Messa con i cardinali elettori, così come l’introduzione all’incontro del giorno successivo, hanno messo subito in evidenza il suo personale profilo di uomo mite segnato da profonda spiritualità, di pastore dal profilo universale e di pontefice consapevole di essere chiamato ad un compito più grande delle sue capacità che solo con la grazia di Dio avrà la possibilità di affrontare e sostenere. Ha ricordato a sé stesso e agli altri quale dev’essere il modo di esercitare l’autorità nella Chiesa: «Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo» (Omelia, 9 maggio 2025).

Le parole evangeliche che meglio mi sembrano interpretare il suo animo e il modo con cui si è presentato sono quelle che Gesù stesso usa nel Vangelo di Matteo per descrivere la sua identità e la sua missione: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30). «Mite e umile di cuore», come Cristo, quasi a voler onorare il primo e più importante titolo che lo identifica come “Vicario di Gesù Cristo”. Così lo hanno percepito subito i fedeli e, oserei dire, tutta l’umanità che in modo impressionante, davvero «come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36), si è stretta attorno a papa Francesco per l’estremo saluto e ha atteso con trepidazione il nuovo pontefice.

Uomo di cultura e di fraternità

Si è scavato già molto nella sua biografia per capire le origini familiari e culturali, il percorso religioso ed ecclesiale, i contesti in cui ha operato, la personalità che si è manifestata nei diversi ruoli ricoperti. La sua storia dice già molto e certamente molto altro potrà svelare man mano che prenderemo confidenza con il suo percorso umano, spirituale e pastorale. Alcune cose sono però già evidenti e confermate anche da coloro che hanno avuto maggiore familiarità con lui. Possiamo evidenziarne alcune per una prima conoscenza, anche se sommaria, ma già indicativa del profilo e della sensibilità che lo caratterizzano. È un uomo di vasta formazione teologica e culturale che oltre ad aver studiato matematica, filosofia, teologia e, in particolare, essersi specializzato in Diritto canonico, ha per diversi anni anche insegnato e curato la formazione dei giovani. Un aspetto non secondario è la piena padronanza di almeno tre lingue e la conoscenza di altre. Dettaglio non secondario quello delle lingue che, assieme alla vasta esperienza internazionale, gli consentirà di muoversi agevolmente nei diversi contesti, senza eccessive interpolazioni.

La sua vocazione è maturata in una famiglia profondamente religiosa ed è cresciuta nel contesto di una congregazione religiosa diffusa in tutto il mondo e legata agli insegnamenti e alla spiritualità di Sant’Agostino, uno dei più grandi Padri della Chiesa. Di questo Ordine non è stato solo stimato membro. Dal 2001 al 2013 è stato anche Priore generale. In questo ruolo ha girato il mondo e conosciuto tante situazioni diverse sia in ambito ecclesiale e pastorale sia dal punto di vista sociale, culturale e politico. Guidare per due mandati un Ordine con una grande storia e diffuso in tutto il mondo costituisce un prezioso tirocinio e richiede grandi capacità di ascolto, di confronto e di governo. Tutti i suoi confratelli gli riconoscono un carattere mansueto e riservato, sempre rispettoso e attento alle persone, capace di un sapiente discernimento e di prendere decisioni ponderate ed equilibrate.

Ad arricchire questo patrimonio di relazioni fraterne e comunitarie è giunta poi la nomina da parte di papa Francesco, che lo aveva conosciuto e apprezzato già negli anni in cui era stato Priore generale, ad amministratore apostolico (3 novembre 2014) e poi vescovo di Chiclayo, in Perù fino al 2023 quando viene chiamato ad assumere l’incarico di Prefetto dell’importante Dicastero per i vescovi. Nella guida della grande diocesi peruviana, con più di un milione di fedeli e con solo un centinaio di presbiteri, ha sviluppato ulteriormente il suo spirito missionario ponendo attenzione alla formazione del clero, alla promozione della giustizia sociale e alla difesa dei diritti dei più deboli. A questa sua storia personale, così ricca di esperienze diverse, ha fatto riferimento nel discorso al Corpo diplomatico per dire che la sua stessa vita «sviluppatasi tra Nord America, Sud America ed Europa è rappresentativa di questa aspirazione a travalicare i confini per incontrare persone e culture diverse» (16 maggio 2025).

Sguardo missionario e impegno sociale

Le sue origini nordamericane costituiscono un fattore di novità assoluta. È il primo pontefice proveniente dagli Stati Uniti, ma sarebbe fuorviante pensare che possa essere identificato solo con quel contesto socioculturale. Certamente più rilevanti, e forse molto più significative, sono la sua esperienza internazionale con l’Ordine agostiniano e, soprattutto, la vocazione missionaria realizzata in un contesto latino-americano come quello peruviano con molteplici incarichi e servizi. Questo è probabilmente il tratto di maggiore continuità con papa Francesco: un forte slancio per l’annuncio del Vangelo con lo sguardo rivolto ai più poveri dentro una forte esperienza di fraternità e di condivisione. La sua storia e le sue esperienze lo caratterizzano già come figura capace di custodire la comunione e con una spiccata attitudine sinodale. Aspetti che gli consentiranno di dare continuità anche al processo avviato da papa Francesco per una riforma sinodale della Chiesa, forse con modalità e tonalità diverse dal predecessore ma certamente non meno incisive e coraggiose.

Così come saprà dare ulteriore slancio all’opera di rinnovamento missionario della Chiesa per renderla più capace di rispondere alle sfide del nostro tempo, secondo lo spirito della Evangelii gaudium di papa Francesco. Lo ha detto chiaramente nel dialogo con i cardinali il 10 maggio, tracciando già una primissima agenda: «Il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr. n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cfr. n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr. n. 33); l’attenzione al sensus fidei (cfr. nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr. n. 123); la cura amorevole degli ultimi, e degli scartati (cfr. n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà (cfr. n. 84; Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, 1-2)».

Quasi a certificare e rafforzare l’impegno in questa direzione, c’è anche la scelta del nome che, come da lui stesso affermato, rimanda a Leone XIII e al suo magistero sociale. Come egli «affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale» così «oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro» (10 maggio 2025).

Tra le altre motivazioni che rimandano a Leone XIII c’è anche la particolare gratitudine degli agostiniani per un pontefice che in tempo difficili li ha difesi e sostenuti. E forse ne dobbiamo aggiungere un’altra che nessuno ha rilevato. Non è un caso che papa Prevost abbia conservato il motto e lo stemma che aveva da vescovo, dove è ben visibile il cuore trafitto che richiama Sant’Agostino e la sua esperienza spirituale. Ma quel cuore rimanda anche al cuore trafitto di Gesù e Leone XIII è il pontefice che a ridosso del Giubileo del 1900 ha pubblicato l’enciclica Annum Sacrum (25 maggio 1899) con cui consacrava l’umanità al Sacro Cuore di Gesù. Come non vedere anche in questo riferimento un singolare collegamento con l’ultima enciclica di papa Francesco Dilexit nos dedicata proprio al Sacro Cuore. Pontificati diversi ma con un unico cuore pulsante, quello di Cristo e della Chiesa, come ben evocato dal suo motto agostiniano In Illo uno unum.

E a partire da questa prospettiva ha già ben delineato il profilo del suo ministero. Nell’omelia della celebrazione per l’inizio della sua missione apostolica ha fatto capire di voler essere «un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi». In quel contesto è sembrato voler riassumere anche il programma del suo pontificato in due parole «Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù». E alla comunità ecclesiale ha chiesto di condividere un comune sentire: «Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato» (18 maggio 2025). Un inizio di pontificato che ha riempito di speranza il cuore dei credenti e ha ridato fiducia a tutta l’umanità per affrontare assieme le grandi sfide del nostro tempo.

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