Anni di crisi o di trasformazioni? Decadenza o rinnovamento? Gli anni Settanta furono certamente per l’Azione cattolica italiana un momento di ridimensionamento organizzativo, ma anche l’occasione per mettere alla prova le intuizioni maturate con il nuovo Statuto del 1969. L’associazione unitaria, la suddivisione in settori (Adulti e Giovani con la comune responsabilità educativa dell’Ac ragazzi) e soprattutto la “scelta religiosa” sono gli elementi distintivi di una stagione che l’Ac visse tra fibrillazioni e contraddizioni, ma pure con una forte volontà di aggiornamento.
Le riflessioni e le moltissime iniziative emerse nella più numerosa associazione del laicato cattolico italiano furono il riflesso delle molte tensioni presenti nella società italiana. A livello sociale, le proteste studentesche e operaie, la messa in discussione dei precedenti equilibri politici e la crisi economica si intrecciarono con l’emersione di episodi di terrorismo, le richieste di maggiori spazi di democrazia e la domanda di riforme adeguate a un Paese ormai industrializzato. Sul piano religioso, l’allentamento delle tradizionali forme di adesione al cattolicesimo si accompagnò alla contrastata ricezione dell’aggiornamento del Vaticano II, tanto da portare alcuni osservatori a giudicare il Concilio la causa di quella disaffezione e l’Ac responsabile della mancata tenuta della cristianità in Italia. Le letture semplificatorie, anche in questo caso, non aiutano a comprendere la complessità di una storia la cui onda lunga arriva fino ai nostri giorni.
A ben vedere, infatti, la diminuzione della frequenza ai sacramenti, il calo delle vocazioni religiose e anche la riduzione degli iscritti alle associazioni cattoliche erano iniziati prima del Concilio. Soprattutto nelle grandi città e nei centri industriali tali tendenze erano già evidenti alla fine degli anni Cinquanta.
L’Ac del nuovo Statuto
L’Azione cattolica del nuovo Statuto aveva raccolto la sfida dell’“aggiornamento” conciliare, con il ruolo propulsore del presidente nazionale Vittorio Bachelet e dell’assistente monsignor Franco Costa. Determinante per la diffusione del rinnovamento fu la miriade di pubblicazioni e di incontri di formazione disseminati nelle diocesi italiane, che contribuì ad acclimatare la Chiesa italiana alle novità del Concilio. Questo dinamismo provocò reazioni di segno diverso: l’associazione registrò al suo interno sia l’opposizione a cambiamenti ritenuti eccessivi, sia le contestazioni (soprattutto giovanili) per un rinnovamento giudicato troppo lento. Ancora più difficile risultò quindi per l’Azione cattolica definire un orientamento che, più che mediare tra le tendenze opposte, voleva offrire una bussola per formare credenti capaci di testimoniare la fede cristiana in un’Italia profondamente cambiata.
Le trasformazioni non furono di poco conto. La nuova dimensione dell’Azione cattolica comportava l’assestamento dell’articolazione unitaria, la preparazione di inediti cammini formativi e, insieme a queste urgenze, la necessaria ridefinizione del rapporto con la politica, in particolare con la Democrazia cristiana. La distinzione tra “azione cattolica” e “azione politica” (sancita anche dall’incompatibilità tra incarichi nell’associazione e quelli nei partiti) più che un segno di arretramento dell’attenzione verso la “città degli uomini” fu una scelta di chiarezza voluta dall’Ac per tutelare la propria autonomia e per contribuire a dare libertà alla Chiesa nello spazio pubblico.
Ridefinizione del rapporto con la politica
Si trattava di un equilibrio da precisare continuamente, come risultò evidente nel periodo della presidenza di Mario Agnes, dal 1973 al 1980, con discussioni interne e spaccature di fronte alle rapidissime evoluzioni del dibattito pubblico. Esemplari furono in questo senso le lacerazioni nel Consiglio nazionale in occasione del referendum sul divorzio del 1974, quando la scelta di mantenere l’Azione cattolica sul piano più strettamente religioso e formativo dovette confrontarsi con le pressanti richieste della Conferenza episcopale italiana di partecipare alla campagna per la difesa della indissolubilità anche civile del matrimonio concordatario.
Osservare le vicende dell’Ac soltanto dal punto di vista delle sue relazioni con la politica italiana rischierebbe però di mettere in ombra la parte più originale del cammino dell’associazione attraverso gli anni Settanta. Nel decennio, crebbe l’apertura ai temi internazionali (dal razzismo alle guerre, dalla democrazia ai dilemmi dello sviluppo), come emerge dalla stampa associativa, anch’essa ampiamente rinnovata nei linguaggi e nei contenuti durante il decennio. Le proposte per studenti e lavoratori seguirono strettamente i dibattiti sulle riforme della scuola e del lavoro. Il confronto a distanza con i gruppi del dissenso e con i “nuovi movimenti”, tra cui Comunione e liberazione, richiese all’Ac la continua precisazione di obiettivi e strumenti. Il riconoscimento dei diritti della famiglia e la “questione femminile” sollecitarono l’associazione, anche se con esiti diversi, significativi delle incertezze vissute da tutta la Chiesa.
Questione femminile e Ac
Molto articolate e innovative furono infatti le proposte rivolte ai “gruppi famiglia” finalizzate anche a un loro pieno inserimento nella vita parrocchiale e diocesana; in questo clima di reattiva attenzione ai cambiamenti, la riforma del diritto di famiglia del 1975 trovò un generalizzato consenso tra le persone aderenti all’Azione cattolica. Le spinte provenienti dai movimenti femministi favorirono la diffusione anche nell’associazione di posizioni che valorizzavano il protagonismo delle donne e la parità tra i sessi, ma provocarono anche reazioni di forte contrarietà.
Proprio negli anni in cui sorgevano gruppi che rivendicavano la separatezza di genere in nome dell’autogestione delle donne, l’Azione cattolica insistette sull’unitarietà dell’associazione come modello dell’armonia tra generi, generazioni e classi che si sarebbe dovuta realizzare senza eccessivi conflitti nella comunità cristiana e nella società.
Nell’Ac prevalse, anche sulla “questione femminile”, una linea moderatamente innovativa, indicativa di un orientamento più generale: sulle materie sociali e teologiche l’aggiornamento del Concilio fu recepito senza nostalgie tradizionaliste, ma anche senza le spinte anti-autoritarie e anti-istituzionali dei gruppi del dissenso cattolico.
Tali scelte di cauta apertura (se paragonate con le posizioni più moderate e anche conservatrici presenti nella Chiesa italiana) rivelavano l’intenzione dell’Azione cattolica di non entrare in contrasto con l’episcopato e con i vertici vaticani su temi altamente sensibili. Esprimevano pure la volontà dell’associazione di rimanere aderente al tessuto del cattolicesimo italiano, anche a costo di rinunciare a sollecitare più chiaramente la Chiesa di fronte ai molti cambiamenti che si stavano profilando all’orizzonte.