Da diversi anni nel dibattito pubblico italiano si parla dell’introduzione di strumenti idonei a semplificare e rendere effettivo l’esercizio del diritto di voto dei c.d. “fuori sede”. Ma chi sono davvero gli elettori fuori sede? Con questa dicitura intendiamo quei cittadini che per motivi di studio, di lavoro o di salute si trovino temporaneamente in un luogo diverso dal proprio comune di residenza. In tal senso vanno distinti i fuori sede che vivono nel territorio nazionale e quelli, invece, domiciliati all’estero. Per alcune categorie di elettori la legge prevede già modalità di voto alternative. Si pensi, ad esempio, ai cittadini appartenenti alle Forze armate e dell’ordine che votano nel comune in cui prestano servizio, alle persone degenti in ospedale o in case di cura che votano nei luoghi di ricovero, oppure ai detenuti votanti che esercitano il loro diritto presso le strutture di detenzione.
Costituzione e libro bianco sull’astensionismo
L’articolo 48 della Costituzione, al primo comma, stabilisce che «il voto è personale ed eguale, libero e segreto» definendo il suo esercizio un «dovere civico». Tale articolo deve costituzionalmente orientare la legislazione elettorale, quest’ultima dovrebbe quindi rendere effettiva la dimensione della doverosità del voto al pari del riconoscimento del suo esercizio come diritto politico. Attualmente l’Italia è l’unica grande democrazia europea a non riconoscere, salvo sperimentazioni occasionali e specifiche previsioni di categoria, la possibilità di votare fuori dal proprio Comune di residenza. Tra gli Stati membri dell’Unione Europea, infatti, soltanto tre paesi – Italia, Cipro e Malta – non prevedono in modo continuativo e strutturato misure di sostegno al voto dei fuori sede. I crescenti livelli di astensionismo elettorale impongono al decisore politico l’individuazione di strumenti che favoriscano la partecipazione democratica.
Alcuni possibili rimedi, contenuti nel Libro bianco sull’astensionismo del 2022, sono stati avanzati da una commissione di esperti coordinata dal Prof. Franco Bassanini. Le soluzioni – adottate nei diversi ordinamenti europei ma non prive di difficoltà attuative – potrebbero essere: il voto in presenza presso un seggio elettorale nel Comune di domicilio, il voto anticipato presidiato, il voto per delega, il voto per corrispondenza o il voto elettronico. Ad ogni modo, nessuno dei sistemi indicati può porsi in contrasto con gli standard di democraticità che la Costituzione impone in ordine alla personalità, uguaglianza, libertà e segretezza del voto.
Ma quali sono stati gli interventi legislativi fin qui adottati?
Ad ogni tornata elettorale migliaia di studenti-elettori, spesso del Sud, sono costretti a sostenere ingenti costi per recarsi alle urne nei propri comuni di residenza. Ancor di più sono quelli che rinunciano all’esercizio di un diritto-dovere costituzionale a causa di difficoltà logistiche ed economiche.
Ma quali sono stati gli interventi legislativi fin qui adottati? In due sole occasioni è stata concessa ai fuori sede la possibilità di votare in comuni diversi da quelli di residenza: per le elezioni europee del 2024 e per i referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025.
Il decreto legge 29 gennaio 2024 n. 7
Con il decreto legge 29 gennaio 2024 n. 7, poi convertito dalla legge 25 marzo 2024 n. 38, è stata data l’opportunità di esercitare il diritto di voto a distanza a coloro che per motivi di studio fossero temporaneamente domiciliati per un periodo di almeno tre mesi in un Comune italiano diverso dal quello di residenza.
Tale sistema, come dimostrano i dati, ha però generato evidenti disfunzionalità in quanto lo studente fuori sede poteva votare in una delle sezioni elettorali del Comune di temporaneo domicilio soltanto se tale Comune fosse situato nella stessa circoscrizione elettorale del Comune di residenza. In caso contrario lo studente-elettore avrebbe potuto votare per le liste e i candidati della circoscrizione di appartenenza recandosi presso il capoluogo di regione del Comune di temporaneo domicilio. Ad esempio, uno studente residente in un Comune del Mezzogiorno ma domiciliato a Padova si sarebbe dovuto recare a Venezia, in quanto capoluogo del Veneto, per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo.
Il decreto legge n. 27 del 19 marzo 2025
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, a fronte di una platea di elettori assai più ampia, sono pervenute soltanto 23.734 richieste di ammissione al voto fuori sede. Più di recente, con il decreto legge n. 27 del 19 marzo 2025 convertito dalla legge 15 maggio 2025 n. 72, è stata introdotta una disciplina sperimentale per l’esercizio del diritto di voto da parte degli elettori fuori sede. In occasione delle consultazioni referendarie abrogative del 2025, infatti, è stata riconosciuta la facoltà di votare in un Comune differente da quello nella quale si è iscritti come elettori a tutti coloro che fossero temporaneamente domiciliati da almeno tre mesi in altro Comune per motivi di studio, lavoro o cure mediche. In questo caso il numero dei richiedenti è sensibilmente aumentato arrivando a 67.305 domande.
La delega al Governo in materia
Nel corso della XIX legislatura è stata approvata alla Camera dei deputati (Atto Camera n. 115) una delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un Comune diverso da quello di residenza per motivi di studio, lavoro o cura che tuttavia sembrerebbe essersi “arenata” in Senato (Atto Senato n. 787) dal 2023.La proposta di legge ha inteso conferire una delega all’Esecutivo, che dovrà essere esercitata entro diciotto mesi, nel rispetto dei principi di uguaglianza, personalità, libertà, segretezza e sicurezza del voto. Le modalità, circoscritte alle consultazioni referendarie ed europee, sono rispettivamente quelle del voto in presenza presso il Comune di domicilio temporaneo di almeno tre mesi o presso sezioni speciali in ogni capoluogo di Regione. L’oggetto della delega riguarda altresì l’adeguamento delle tariffe agevolate per i servizi di trasporto a favore degli elettori fuori sede.
“Io voglio votare fuorisede”: la proposta e il suo contesto
Attualmente è stata avanzata una proposta di iniziativa legislativa popolare – denominata “Io voglio votare fuorisede” (Id iniziativa: 4200000) – con l’obiettivo di introdurre una legge che garantisca il voto a distanza in vista delle elezioni politiche del 2027. Tale proposta per essere sottoposta all’attenzione del Parlamento, secondo quanto stabilito dall’articolo 71 della Costituzione, necessita della sottoscrizione di almeno cinquantamila firme. Per firmare occorre accedere tramite Spid o Cied alla piattaforma “referendum e iniziative popolare” sul sito del Ministero della Giustizia.
La proposta di legge mira a «consentire l’esercizio del diritto di voto a tutti i cittadini, garantendo la piena partecipazione degli elettori al processo democratico» nel rispetto degli articoli 3 e 48 della Costituzione. Verrebbe delegata al Governo l’adozione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi volti a disciplinare «le modalità atte a garantire l’esercizio del diritto di voto degli elettori che, per motivi di mobilità, si trovano in un comune situato in una regione diversa da quella del comune di residenza in occasione dello svolgimento di consultazioni politiche nazionali, regionali, amministrative, referendarie ed europee».
A differenza di quanto avvenuto in via sperimentale per le ultime elezioni europee e referendarie la proposta sarebbe quindi estesa a tutte le consultazioni elettorali. Inoltre, il novero dei beneficiari delle nuove modalità di voto non sarebbe più circoscritto ai soli soggetti impossibilitati per ragioni di studio, lavoro o salute ma esteso a tutti i cittadini che, per qualsiasi ragione, non si trovino nel proprio Comune di residenza durante una tornata elettorale. Più precisamente la proposta prevede per l’elettore fuorisede, in occasione delle consultazioni referendarie previste dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, la possibilità di voto nel Comune di temporaneo domicilio, mentre in occasione delle elezioni nazionali, europee, regionali e locali, la possibilità di votare per liste e candidati della circoscrizione elettorale di residenza presso sezioni speciali a tal fine istituite in ogni capoluogo di provincia.
Un diritto di pochi è comunque un diritto di tutti
Una tra le più singolari critiche mosse contro la possibilità di introdurre la facoltà di voto in un Comune diverso da quello di residenza riguarderebbe il numero esiguo di persone fisiche potenzialmente coinvolte. Tale obiezione parrebbe dimenticare un principio cardine di ogni democrazia matura: un diritto di pochi è comunque un diritto di tutti. L’esercizio di tale di diritto da parte di una minoranza sparuta di elettori fuori sede non giustifica quindi il disimpegno del Legislatore nel tutelare la loro posizione, tenendo conto sia delle necessarie condizioni di sicurezza del voto sia delle opportunità derivanti dallo sviluppo tecnologico.
Le due sperimentazioni fatte in Italia, seppur preziose, avrebbero potuto stimolare la partecipazione di molti più elettori qualora si fosse posto rimedio alle lungaggini burocratiche, ai tempi contingentati per far domanda e soprattutto alla scarsa diffusione di informazioni sulla possibilità di voto a distanza. Mentre il Regno Unito estende il diritto di voto ai sedicenni in Italia si discute ancora della possibilità di votare in un Comune diverso da quello di residenza. In vista delle prossime elezioni politiche non sarebbe pertanto comprensibile alcuna marcia indietro rispetto ai timidi passi in avanti fin qui fatti.
È evidente come la crisi della partecipazione abbia radici profonde e dipenda da una pluralità di fattori non imputabili esclusivamente all’inerzia del Legislatore, tuttavia, nessuna misura può dirsi sufficiente da sola. Il riconoscimento del voto a distanza costituisce soltanto uno strumento, forse da solo insufficiente, per contrastare l’astensionismo involontario. La crisi della rappresentanza e dei corpi intermedi, la strutturale disaffezione degli elettori nei confronti della politica, la distanza sempre più evidente tra cittadini e istituzioni, la diffusione dei populismi su scala globale e, da ultimo, la rivoluzione digitale necessitano di risposte complesse. Siamo davvero pronti a queste sfide?