Le preoccupazioni che occupano il cuore e la mente di molti uomini e di molti cittadini italiani sono profondissime: dall’assenza di pace, alla mancata cura della casa comune, alla crisi dei migranti. Ma non poche preoccupazioni desta anche l’economia sia a livello globale sia nel nostro amato paese.
Questa economia uccide: non serve l’uomo e non rispetta l’ambiente
A livello mondiale, seguendo le riflessioni di papa Francesco, dobbiamo riconoscere che questa economia uccide (soprattutto quando non consente a tutti una vita dignitosa e, inoltre, continua a produrre armi) e che la disuguaglianza e la crescente povertà dovrebbero costituire le vere preoccupazioni per tutti i politici di ogni latitudine. Ma questo non avviene. Una delle ragioni di queste grandi ferite è che l’economia in tanti passaggi domina sulla politica; non ci sono scelte di fondo che sappiano costruire una nuova economia a servizio dell’uomo, della sua pienezza e della sua felicità.
I temi su cui i decisori dovrebbero concentrarsi sono il lavoro degno per tutti, un’economia che non solo rispetti l’ambiente ma anche lo valorizzi e lo faccia crescere, uno sviluppo da consegnare a tutti i popoli affrontando il debito internazionale (che attanaglia la vita dei paesi che non appartengono all’Occidente sviluppato) ed anche il debito ecologico che fa riferimento, in termini di obbligazione e responsabilità, a quanto i Paesi industrializzati, o Nord del mondo, hanno accumulato nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, o Sud del mondo, per aver sfruttato le loro risorse naturali e aver contribuito in modo determinante al loro degrado ambientale e sociale. Creare un reale e umano progresso per i paesi più poveri avrebbe anche molte ricadute sulla profonda crisi migratoria.
In Italia occorre rimettere al centro la Costituzione (e le famiglie)
In Italia, cosa possiamo sperare per l’economia? Molte le scelte possibili, ma uno solo è l’auspicio di fondo: che si torni a scegliere e ad essere protagonisti, in uno scenario globale che vede sempre più pressante la lotta tra Usa e Cina e una sempre maggiore irrilevanza dell’Europa.
Un mio personale auspicio riguarda la tassazione che andrebbe ricollocata nelle prospettive della Costituzione, tornando, cioè, ad essere realmente e costruttivamente progressiva, abbandonando tutte le sirene provenienti dalla flat tax.
Un altro ambito in cui occorrono decisioni urgenti è la demografia; occorre mettere tutti nelle condizioni di avere quanti figli desiderano, occorre far sì che il lavoro non abbia disuguaglianza di genere, perché più le donne sono in condizioni lavorative ottimali più sono propense alla maternità; e, infine, occorre accogliere un numero adeguato di persone straniere in età lavorativa, cercando anche che arrivino con le loro famiglie o che scelgano di costruire una famiglia nel nostro paese.
L’industria non è più un fattore trainante della nostra economia
Vorrei, a questo punto, concentrarmi su un altro ambito di decisioni che è la politica industriale, cioè l’insieme di tutte le scelte che riguardano l’industria e la sua produzione e che mirano a migliorare, in modo non temporaneo, la struttura produttiva e i rapporti fra imprese.
La crescita economica, per quanto ancora insufficiente se guardiamo alla situazione prima della crisi del 2007-2008, è dovuta al PNRR, al molto discusso 110%, al terziario e al turismo. Ma l’industria non è più un fattore trainante della nostra economia, nonostante siamo ancora la seconda potenza industriale in Europa, dopo la Germania. Solo il comparto alimentare e la chimica sono ancora in relativa crescita; paghiamo soprattutto la profonda marginalità rispetto alla nuova ondata di alta tecnologia e la concorrenza internazionale sempre più agguerrita.
Serve una classe manageriale adeguata e un sistema finanziario coraggioso
Occorrono, quindi, scelte e visioni di lungo periodo, di cui non c’è traccia in nessuno degli schieramenti politici; ma sono assenti anche le associazioni degli industriali e i sindacati.
Per partire, occorre guardare a come è fatta la struttura produttiva italiana: abbiamo troppe aziende piccolissime e andrebbe favorito un processo di fusioni, acquisizioni e alleanze. Non si vede, però, all’orizzonte una classe manageriale adeguata, un sistema finanziario sufficientemente coraggioso per superare questo gap dimensionale in Italia.
Inoltre, non abbiamo più grandi colossi e occorrerebbe attrarre investimenti dall’estero non attraverso incentivi, ma sfruttando i vantaggi competitivi nella produzione che abbiamo in molti settori rispetto a Germania e Francia, tenendo anche conto del nostro minore costo del lavoro. Esistono, però, molte imprese medie con un elevato livello di produttività, efficienza e straordinaria flessibilità. Possiamo pensare a imprese della motor valley o imprese nel campo della produzione di occhiali; sono imprese forti nel loro, magari piccolo, settore, ma che hanno una dinamica positiva nella competizione internazionale. Ma purtroppo anche queste eccellenze italiane stanno commettendo l’errore capitale di non investire a sufficienza. Lo Stato dovrebbe aiutare in tutti i modi la crescita della produttività e la ricerca, soprattutto dove le aziende italiane sono leader.
La sfida dell’Intelligenza Artificiale
Vi è, poi, il tema delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza Artificiale. L’Italia, che non può (purtroppo) essere leader nell’elaborazione di nuove tecnologie, deve essere capace di usarle per la propria crescita, soprattutto qualitativa, delle sue imprese ed anche di tutta la pubblica amministrazione. Questo non vuol dire abbandonare la ricerca pura, la ricerca di base. Questo vuol dire che è ancor più necessario diffondere e aiutare ad usare gli strumenti che già sono stati resi operativi. In questa direzione scuole, università, le amministrazioni territoriali anche in collaborazione con le imprese devono fare ogni sforzo affinché i nuovi saperi aiutino la produttività a crescere.
Se il salario basso aiuta la competitività, aiuta nella “gara” co Francia e Germania, occorre vedere come la crescita degli occupati non ha mostrato una crescita adeguata dei salari. Anzi: i cosiddetti working poor sono aumentati. La discussione sul salario minimo stabilito per legge non è ancora chiusa. Prescindendo dalla mia opinione, per altro favorevole, non c’è nessun dubbio sul fatto che gli stipendi dei dipendenti debbano crescere.
Ambiente: lo studio di nuove tecnologie è necessario, ma non basta
Infine, davanti a noi sta ancora tutta la crisi ambientale; dobbiamo affrontarla, evidentemente senza portare fuori mercato le nostre aziende. La discussione sulle auto elettriche (ma non solo) ruota attorno a questo orizzonte. Lo studio di nuove tecnologie è necessario, ma non basta. Qui la politica italiana, europea e mondiale deve tornare ad essere protagonista. Nessun paese può decidere in autonomia le sue politiche di decarbonizzazione. Lo sforzo deve essere mondiale. Ma affrontare la sfida ambientale può generare anche opportunità, difficili da cogliere se anche il pubblico (alcuni esempi virtuosi dal PNRR) non sostiene il processo di transizione.