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Fedeli alla vita e al Vangelo

Si avvicina il Convegno educatori di Riccione. Ne parla il presidente Ac, Giuseppe Notarstefano, nel nuovo numero di "Segno"/2
24 ottobre 2025 di Alberto Macchiavello
Fedeli alla vita e al Vangelo cover image


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Questo articolo proviene dal quotidiano Avvenire


Presidente, partiamo dal titolo evocativo: Verso l’alto. Un riferimento a san Pier Giorgio Frassati, ma quali nuovi significati assume con questo evento?

La scelta di una espressione celebre di Frassati non è soltanto un richiamo alla canonizzazione appena vissuta, ma uno stile con il quale si devono confrontare tutti i credenti, e in particolare tutti coloro che hanno un compito educativo all’interno delle comunità e nella nostra associazione.

Non è tempo, forse non lo è mai stato, tiepidi, per vivacchiare, come direbbe Pier Giorgio, è un tempo in cui siamo chiamati a dare il meglio di noi stessi. Credo che il tema del Verso l’alto richiami l’evangelica aspirazione alle cose più alte, cioè l’idea di riconnettere un po’, per usare un’altra bella espressione di don Ciotti, la terra con il cielo. Ecco, siamo chiamati in questo tempo a fare questa connessione da credenti, tra quei valori perenni universali che il Vangelo ci annuncia e la fatica di dargli una concretezza dentro le nostre vite.

Dal Progetto formativo rinnovato al Convegno nazionale educatori unitario. Questo appuntamento cosa può offrire alla vita delle associazioni territoriali?

foto: Alessia Giuliani /Fototeca Ac

Quando abbiamo iniziato la revisione del Progetto formativo, lo abbiamo fatto con la consapevolezza che il magistero di papa Francesco stava scuotendo tutta la Chiesa. Finito questo lavoro è arrivato il Covid e solo dopo abbiamo riconsegnato il testo aggiornato all’associazione. Oggi, in un progetto più ampio che raccoglie anche il ripensamento degli itinerari formativi, ci sembra importante partire proprio dai formatori e adesso crediamo sia necessario ripensare tutti insieme il modo di come fare formazione.

Essere educatori in associazione è vivere una scelta che innanzitutto è di tutta l’associazione. L’Ac non delega, ma affida ad alcune persone specifiche questo compito e le accompagna e se ne prende cura. La categoria della cura è stata desiderata con grande forza all’indomani della pandemia alla quale va aggiunta oggi la categoria giubilare della speranza, perché il lavoro educativo è un lavoro difficile, faticoso, a lungo termine, un po’ come il lavoro del seminatore, un esercizio che ci allena continuamente alla speranza.

La missione comunitaria sarà la chiave di lettura attraverso cui si snoda tutto il programma. Come si può essere educatori e animatori missionari con la comunità, nella comunità e per la comunità?

La copertina del nuovo numero di Segno, in uscita oggi, è interamente dedicata alla scelta religiosa

Oggi, il cammino per essere educatori passa attraverso il fare insieme: insieme alla comunità, nella comunità, in uno stile sinodale. Uno stile che la Chiesa offre in un mondo che si specializza, individualizza, frammenta: tenere insieme una formazione che è sempre più integrale, sempre più organica. C’è un tema di contenuti della formazione perché non possiamo diventare espertissimi di una cosa sola e perdere le altre. E poi c’è un tema di come essere educatori credenti dentro la comunità, e il nostro lavorare insieme ci invita a riconsegnare questa pedagogia associativa che è fatta di gruppi educatori, di équipe che mostrano come stare, faticare e discernere insieme. Se vogliamo davvero avere questa proiezione verso l’alto, prendere sul serio questo compito educativo, e farlo con una scelta di tutta l’associazione, dobbiamo davvero dare una maggiore qualità alla formazione.

La guerra, l’individualismo, le polarizzazioni sono oggi al centro delle notizie che provengono dal mondo ma allo stesso tempo riguardano anche la nostra vita quotidiana. In queste condizioni cosa vuol dire allora formarsi ed essere educatori/animatori oggi?

Potremmo dire che come i santi, si è educatori per un tempo e dentro un tempo. Essere educatori in questo tempo significa essere persone che hanno una capacità di sintesi, essere tessitori di legami e di relazioni buone. Persone che hanno la capacità, prima di saper parlare, di saper ascoltare.

Quindi hanno una disponibilità all’ascolto e a prendersi cura di legami autentici che accompagnano le persone nella loro vita quotidiana, immersi nella realtà perché la vita cristiana non può essere un’evasione, ma ci abilita a un’immersione più profonda, a fare nostro, a soffrire, a gioire con le cose belle e brutte che ciascuno vive.

Ecco perché è importante oggi la questione della pace perché, se è vero che nasce dal basso con il dialogo e l’incontro come facciamo nei nostri gruppi, in questo tempo dobbiamo essere consapevoli del valore di ciò che facciamo, per poterlo consegnare con ancora più passione e più entusiasmo.

Ti ritroveremo nella giornata conclusiva a dialogare con Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori. L’Ac è in prima linea nel promuovere ambienti sicuri. Quanto è importante questa scelta?

Oggi la cura delle persone più fragili, e dei piccoli certamente, chiede un’attenzione, una competenza e un’alleanza diversa all’interno dell’associazione. Per questo le linee che abbiamo elaborato, sulle quali stiamo lavorando ancora, sono state scritte ricordandoci che la comunità deve essere quello spazio dove le famiglie sanno di poter costruire un’alleanza educativa, dove le persone possono sentirsi riconosciute, accolte per quello che sono e accompagnate.

Se 50 anni fa fare associazione, fare gruppo, sembrava una dimensione ordinaria della vita delle persone, oggi non lo è, perché la realtà del gruppo è meno vissuta. E qui nasce l’urgenza di ri-alfabetizzare un rapporto, tra l’educatore e il ragazzo: in questo c’è tutto il tema degli abusi, non solo quelli di carattere sessuale, che sono gravissimi e sui quali ci vuole una vigilanza continua, estrema, che è fatta di custodia che dobbiamo fare tutti con grande sollecitudine, direi spirituale prima che formativa; c’è però anche il tema degli abusi di potere e quindi l’educazione come un’educazione alla libertà.

Questo è sempre stato un principio forte dell’esperienza associativa e noi in qualche maniera ci sentiamo provocati da alcune questioni molto serie a partire dal ripensarci come un luogo dove si forma, ci si educa a uno stile, a una libertà, a una bellezza delle relazioni che nasce da quel rispetto, da quel riconoscimento dell’originalità e unicità di ogni persona.

Qual è l’augurio all’associazione per questo convegno?

L’augurio che noi facciamo è che le persone si possano sentire innanzitutto stimate e incoraggiate in questo servizio che viene svolto con una grande generosità, e poi il desiderio è che ci sia un rilancio dei percorsi di formazione, soprattutto quella formazione umana che viene dalla pienezza e bellezza dell’esperienza associativa.

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