Di fronte a scene di guerra sempre più atroci e drammatiche, a moderne “pietà” con in braccio figli trucidati, affamati, inscheletriti dall’egoismo e dall’odio del potere, ad adolescenti ammazzate crudelmente da coetanei incapaci di amare, sembra quasi retorico continuare a parlare di pace.
Eppure è necessario, è un dovere, non solo indignarsi ma agire con la forza di quella speranza che è progetto politico di educazione, formazione, di un “disarmo del cuore” che sia umiltà, mitezza, carità (leggi 4 il numero di Segno inserto di Avvenire del 10 giugno, dedicato alla pace).
Fare spazio all’altro
Ciascuno di noi, nessuno escluso, si senta chiamato a fare un onesto esame di coscienza, che riguardi anche la disponibilità a rinunciare a sé stessi, alle proprie velleità, alle proprie mire, per fare spazio all’Altro. Sembra che Leone XIV sin dall’inizio abbia dato delle coordinate essenziali: amore e unità, disarmare le parole per disarmare la Terra. Non bastano post social, fiaccolate, marce … se sono solo occasione di marketing sociale e politico, se servono esclusivamente a sedare coscienze troppe volte addormentate e non direzionate al viversi con gli altri o smarrite in un senso di impotenza di fronte al quale si rimane fermi, statici.
In attesa che qualcosa cambi o qualcuno arrivi a risolvere per noi ciò che dipende da noi, dimenticando che tale indifferenza non solo è immorale ma premonitrice di leaderismi, populismi e totalitarismi.
L’anima della pace
Ecco perché a ogni latitudine sui fronti di ogni guerra combattuta, sui fronti quotidiani e domestici di guerre urbane, prendendo in prestito le parole di Etty Hillesum, «una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo … –. Sono una persona felice e lodo questa vita la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra».
Perché non sia solo assenza di guerra e non sia una pace irrequieta, la pace ha bisogno di trovare anima e anime, oggi più che mai, disposte al martirio?
Domanda drammatica, ma che trova uno spiraglio nell’impegno comune e condiviso a vedere nel martirio non una testimonianza di disprezzo della vita e o di desiderio della morte, ma di “rinascita a noi stessi”. Di un recupero di una umanità smarrita, dove il desiderio di giustizia di un mondo di pace si costruisca sull’esperienza sempre attuale di perdono misurato alla nostra autentica esistenza.
Per una pace vera
A una volontà non di potenza che è delirio di onnipotenza, non di “volenterosi” di armamenti ma, per dirla con sant’Agostino, di una volontà che sia facoltà dell’anima diretta al bene e a una pace vera. Perché non esista mai più aggettivo che giustifichi la guerra e solo siano comprensibili le ragioni di una pace giusta e duratura, di una pace che, come ci ricorda Maria Montessori, non sia un “adattamento”, un “accomodamento” dei vinti al potere e ai soprusi dei più forti, semplicemente sarebbe una illusione.
L’anima della pace e pace dell’anima sono facce della stessa medaglia. L’unico volto dell’umano, di una politica riammessa alla scuola di un’etica delle relazioni, di un’etica globale di solidarietà e cooperazione (Fratelli tutti), secondo quel “principio di responsabilità” indispensabile al presente e al futuro dei nostri figli e della nostra Terra, di un principio dei diritti che promanano dall’inalienabile dignità umana.