Il pensiero rivolto ai giovani di Gaza e dell’Ucraina e a quanti non hanno potuto partecipare perché vivono in zone di conflitto, ha segnato profondamente il primo incontro tra papa Leone XIV e i giovani del mondo. In questo tempo segnato da tensioni internazionali, il Papa ha rilanciato con forza a noi giovani l’invito alla responsabilità e ad assumerci il coraggio della pace. La speranza sta nella consapevolezza che un cambio di rotta può partire già da noi e dall’autenticità delle relazioni che siamo capaci di coltivare. Forse non ci siamo più abituati, ed è per questo che le sue parole ci sono sembrate così rivoluzionarie: « L’amicizia è una strada verso la pace».
Parole profetiche, perché colgono con precisione l’urgenza del nostro tempo. Infatti, se dovessimo scegliere la cosa che più ci preoccupa oggi, sarebbe probabilmente il collasso della capacità di dialogare e di sognare insieme un futuro di felicità.
Tornando da Roma, dalla grande piana di Tor Vergata, Leone XIV ci ha aiutato a riconoscere una verità radicale: alla base delle guerre e dei conflitti che segnano la vita di tanti nostri coetanei, alla base delle tensioni sociali e delle insofferenze verso chi è nostro prossimo c’è spesso un’incapacità di comunicare. Un’incapacità alimentata da meccanismi di comunicazione che ci spingono al torpore, come denunciato da papa Francesco citato da Leone XIV, mezzi «utilizzati per farci diventare soggetti addormentati» (ChV 105).
In questo scenario, l’amicizia vera è lo strumento che noi giovani vogliamo utilizzare per innescare una rivoluzione della pace.
Perché solo l’amicizia sa tenere unite «le parole alle cose, i nomi ai volti». Per la comunità cristiana, allora, quella dell’amicizia come strumento di pace suona come un ambito in cui rinnovare un impegno per riscoprire la nostra vocazione alla comunione.
È vero, a volte le nostre fragilità sembrano ingombranti e possono essere viste come un ostacolo all’incontro con Dio e con gli altri, ma questo «è parte della meraviglia che siamo», ci ha rammentato Papa Leone, ricordandoci che non siamo fatti «per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore» . È l’amicizia il terreno su cui vogliamo costruire comunità fatte di persone vere, non semplici community digitali in cui scorrere profili; dei luoghi in cui tutti e tutte possono parlare, senza filtri di ingresso che elimino la contrapposizione per restituire degli ambienti omologati al nostro io; spazi in cui non è necessario impostare filtri, e dove ciascuno sia chiamato a gettare «le maschere che rendono falsa la vita» (Veglia di preghiera nella XV Giornata mondiale della gioventù).
Per questo, i social non possono mai essere l’unico strumento per leggere la realtà o per cercare Dio: lì manca il volto dell’altro, e manca il volto dell’Altro, tasselli fondamentali per costruire la pace. Solo «l’incontro con Cristo Risorto che cambia la nostra esistenza, che illumina i nostri affetti, desideri, pensieri» può fondare quell’amicizia che, a partire dall’amicizia con Lui, fonda la ricerca della costruzione di un mondo migliore.
Lo ha ricordato ancora il Papa, citando sant’Agostino: senza l’amicizia in Cristo non può esserci vera fedeltà. Un insegnamento che Leone ha riconosciuto anche nella testimonianza del beato Pier Giorgio Frassati che in una lettera all’amico Isidoro Bonini scriveva: «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere, ma vivacchiare».Frassati, giovane come noi, non lasciava Gesù eucaristia chiuso nel tabernacolo, ma – dopo la comunione quotidiana – lo serviva nei poveri. Fu per questa doppia tensione all’Incontro con il Signore (nell’Eucaristia e nel servizio ai poveri) e alla vocazione al servizio che scelse di studiare ingegneria mineraria, per poter condividere la vita e le fatiche dei minatori. Questa attenzione agli “scartati”, infatti, lo ha reso costruttore di pace, in un’epoca segnata dalle tensioni tra le guerre mondiali.
Pier Giorgio, che ha vissuto in un tempo con tante drammatiche similitudine al nostro, ci può testimoniare che solo se rimaniamo in intimità con Cristo potremo esercitare una cura autentica e prossimità fedele. Nella sua testimonianza riscopriamo un compito per tutti: costruire la pace, giorno per giorno, con la forza dell’amicizia e la sete di giustizia sociale. Un pace disarmata e disarmante attraverso l’amicizia, umile e perseverante fortificata da un «patto che non conosce confini terreni né limiti temporali: l’unione nella preghiera» (lettera a Isidoro Bonini, 15 gennaio 1925).
Torniamo da Roma con la consapevolezza che questo tempo sia il nostro tempo, in cui donarci per coltivare la speranza che abita in noi e accogliere l’invito del Papa ad aspirare a cose grandi, alla santità, ovunque siamo. Non ci accontenteremo di meno.