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Chi gioca alla guerra

Cresce il mercato delle armi. Ma i giovani hanno a cuore l'ambiente
22 luglio 2025 di Alberto Galimberti
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Questo articolo proviene da Segno nel mondo


Viviamo tempi drammatici, solcati da paure, lacerati da stridenti contraddizioni. Guerre sanguinose, catastrofi climatiche, crisi economiche e sociali funestano la cronaca quotidiana in molte regioni del pianeta. Aggravando diseguaglianze e ingiustizie. Restituendo un mondo capovolto, dove le spese militari crescono e le industrie delle armi macinano profitti, mentre dilaga la povertà di persone e popoli e diminuiscono gli investimenti delle istituzioni pubbliche nel welfare.

La nuova corsa agli armamenti

Più missili e droni, meno scuole e ospedali. La (nuova) corsa agli armamenti supera il passo della democrazia e la prudenza della diplomazia, sovrasta le voci dissidenti, sbeffeggia pietà e dignità umane uccidendo innocenti a migliaia. Così si disputa la competizione tra potenze, si soppesa la loro reputazione. Nel 2024, le spese militari, denuncia un allarmato rapporto del Sipri (Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma), hanno toccato una quota pari al 2,5 per cento del Pil globale.

Stati Uniti, Cina, Germania, Russia e India svettano sul podio dei Paesi che maggiormente hanno rimpinguato le casse del- la difesa. Per una somma di 1.635 miliardi di dollari, raggiunta sacrificando altre aree di bilancio quali la sanità e l’istruzione, la ricerca e la cooperazione internazionale. Come se non bastasse, il 2024 ha visto aumentare anche l’arsenale nucleare, incombere incalzante l’incubo atomico. Secondo un report stilato dall’Ican, l’International campaign to abolish nuclear weapons, infatti, le risorse investite da quanti detengono testate nucleari supera i 100 miliardi di dollari a livello mondiale. Una somma imponente, che avrebbe potuto sfamare, almeno per 24 mesi, 345 milioni di persone, colpite da carestie, denutrizione e sfruttamento. E che, invece, squaderna una verità lampante: il progresso non è sempre sinonimo di sviluppo. La Terra è conquista anziché casa, i potenti agiscono al pari di predoni piuttosto che di custodi, le risorse pubbliche sono distolte dalle priorità dei molti per assecondare istanze nazionalistiche e mire espansionistiche di pochi. In spregio a carte e manifesti di presunta validità universale, testimonianza tangibile della prevalenza del diritto della forza sulla forza del diritto. 

Spiragli di speranza

Se lo sguardo sul presente è avvolto dal pessimismo, quello affacciato sul domani schiude, quantomeno, qualche spiraglio di speranza. Insieme al cinismo di chi muove guerra e finanzia il mercato delle armi, si fa strada la coscienza morale e l’idealismo di chi ha a cuore l’ambiente che lo circonda. Almeno, stando a quanto rivelato dalla recente ricerca promossa dal Capgemini research institute e da Generation unlimited dell’Unicef, Youth perspectives on climate: Preparing for a sustainable future, che ha sondato le opinioni sul cambiamento climatico di 5.100 giovani tra i 16 e i 24 anni in 21 Paesi del mondo. Nonostante la crescente ansia legata all’impatto del climate change, la prevalenza dei giovani, sia nel Nord sia nel Sud del mondo, crede si possa risolvere questo problema.

Il 53% manifesta la volontà di far parte della soluzione: concorrendo alla definizione delle politiche ambientali e intraprendendo una carriera green. Tuttavia solo il 44% ritiene di possedere le competenze green necessarie per avere successo.

Anche per questa ragione, lo studio suggerisce alcune raccomandazioni. Integrare l’educazione ambientale nei curricula scolastici, democratizzare l’accesso alla formazione, creare percorsi verso lavori green e includere strategie di sostenibilità. 

Educare insieme è un atto di speranza
Prendere nota: dal 5 al 7 di dicembre il Convegno nazionale degli educatori