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«Cambiare il mondo seguendo il Vangelo con mitezza e libertà»

Il tempo nuovo della scelta religiosa /2. Per Matteo Truffelli la scelta religiosa esprime la convinzione che ciò di cui necessita il mondo è il Vangelo
31 ottobre 2025 di Matteo Truffelli
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La scelta religiosa è un termine che recentemente è tornato d’attualità nel dibattito pubblico. Ne parliamo con Matteo Truffelli, ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Parma, presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici Vittorio Bachelet e già presidente nazionale di Azione cattolica. A cento anni dalla nascita di Bachelet (20 febbraio 1926) l’Istituto Bachelet dedicherà un evento di rilevanza nazionale.

Vogliamo una volta per tutte spiegare il vero senso dell’espressione “scelta religiosa”? Chi l’ha utilizzata per la prima volta?

Non sappiamo chi abbia coniato l’espressione, che si iniziò a usare negli anni Sessanta per indicare una delle scelte fondamentali fatte dall’Azione cattolica per rinnovare sé stessa alla luce del Concilio. Già allora, a dire il vero, si era consapevoli che una formula simile si prestava a incomprensioni, soprattutto all’esterno dell’associazione. Anche se io mi chiedo sempre chi mai potrebbe criticare, ad esempio, una squadra di calcio per aver fatto “la scelta sportiva”.

In cosa consiste, allora, questa scelta?

Nel riconoscere il primato dell’evangelizzazione, come missione essenziale della Chiesa e, di conseguenza, dell’Ac. È una scelta che esprime la convinzione che ciò di cui necessita il mondo è, più di ogni altra cosa, il Vangelo. Il nostro tempo, le persone, la società, hanno bisogno del dono di vite improntate al Vangelo, di donne e uomini che vivono e testimoniano l’amore del Padre dentro le pieghe dell’esistenza umana. Nella consapevolezza che, come ha scritto Francesco nell’Evangelii gaudium, non vi può essere evangelizzazione autentica che non abbia “conseguenze sociali”.

Quindi anche implicazioni politiche…

Certamente. Ma dopo tanti anni c’è ancora chi crea fraintendimenti in proposito. La scelta religiosa è stata fatta per misurarsi più a fondo con le dinamiche culturali, sociali e politiche del nostro tempo, non per fuggirne. È stato un modo per interpretare in maniera corretta la rilevanza politica della fede. Ha formato e forma una quantità innumerevole di persone che si sono spese e si spendono per una società più giusta, più fraterna, più umana. In ogni ambito: professionale, educativo, culturale, politico. Si potrebbero fare un’infinità di esempi, e di nomi. Al tempo stesso, la scelta religiosa nasce dalla convinzione che gli strumenti, i metodi e le risorse dell’apostolato non possono essere gli stessi del potere. La comunità ecclesiale non può pensare di realizzare la propria missione utilizzando i mezzi della politica, o servendosi di essa. E ancor meno può lasciarsi strumentalizzare dal potere. Perciò non può schiacciarsi su nessuna posizione, né su questo o quel partito. 

La copertina del nuovo numero di Segno nel mondo dedicata alla scelta religiosa

Dunque una scelta ancora valida, dopo tanti anni? Ne è passata di acqua sotto i ponti… 

Il contesto sociale, politico, ma anche religioso ed ecclesiale da cui scaturì la scelta dell’Ac era profondamente diverso da quello di oggi e, dunque, non possiamo pensare che essa mantenga gli stessi connotati di allora. D’altra parte proprio questa è una delle caratteristiche che definiscono la natura di quella scelta: essa infatti nacque dalla consapevolezza che per i credenti è sempre necessario un continuo confronto con i cambiamenti della storia. E sempre, in questi sessant’anni, ci si è chiesti come declinare quella che rimane una scelta di fondo in concrete decisioni e in modalità d’azione appropriate ai diversi contesti e alle specifiche questioni con cui ci si è dovuti misurare. Questo però non fa della scelta religiosa un’opzione superata dagli eventi, ma, al contrario, la rende ancora più attuale. 

In che senso?

Oggi occorre fare ancora più attenzione all’importanza, ma anche alla delicatezza e complessità del rapporto tra fede e politica. Perché paradossalmente, nonostante siano scomparse alcune forme di “collateralismo”, le grandi trasformazioni politiche e culturali degli ultimi anni hanno accentuato, anziché diminuito, il rischio di una strumentalizzazione reciproca tra fede e politica. Il rischio, cioè, che il giusto riconoscimento della rilevanza pubblica della religione porti a un uso politico di essa, riducendola a strumento di lotta e contrapposizione. E che, per converso, si sia tentati di vedere nell’alleanza con il potere un mezzo per la difesa di principi e interessi religiosi. Basta guardare, ad esempio, a cosa accade negli Stati Uniti, o in alcuni paesi dell’Est, e in Russia.

Sfide complesse, quelle che stiamo attraversando, che vanno oltre le dinamiche socio-politiche del nostro Paese.

Esatto. Al tempo stesso sappiamo che il nostro tempo è segnato da sfide inedite e da questioni che hanno assunto dimensioni e forme inusitate, che richiedono risposte nuove, iniziative coraggiose. Penso alla pace, alla difesa della democrazia, alle derive prodotte dall’insistenza esasperata sui diritti individuali, allo sviluppo delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale, alle crescenti diseguaglianze, alla custodia del creato, alle migrazioni. Declinare oggi la scelta religiosa significa capire come misurarci, da credenti, con tutte queste e con altre questioni, cioè come trasformare il giacimento spirituale, etico e solidale di cui la comunità ecclesiale è custode in fermento vivo per tutta la società. 

Perché oggi un giovane dovrebbe lasciarsi ispirare dalla scelta religiosa? C’è speranza?

Perché è la scelta di provare a seguire il Vangelo con mitezza e con coraggio, con coerenza e libertà. Sapendo che a tutti, anche a un giovane, è chiesto di assumersi le proprie responsabilità, cioè mettere in gioco, ma sul serio, la propria coscienza, insieme a molti altri con cui condividere un cammino di maturazione e impegno. E perché assumere la logica della scelta religiosa può significare scoprire nella maniera più radicale e decisiva che la fede non è qualcosa di cui si possa fare esperienza senza immergersi fino in fondo nella storia, nelle vicende dell’umanità. Senza tentare, cioè, di cambiare il mondo, e al tempo stesso senza credere che il mondo sia una roccaforte da espugnare.

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