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Artigiani di pace e seminatori di speranza

Da oggi disponibile il nuovo numero di "Segno nel mondo", in gran parte dedicato a Pier Giorgio Frassati
18 luglio 2025 di Paolo Seghedoni
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Questo articolo proviene da Segno nel mondo



Chi ha sulle spalle diverse primavere, diciamo chi ha passato i cinquanta, in questi mesi è fortemente tentato di indulgere al passatismo. L’adagio “ai miei tempi” non è soltanto frutto dell’età che avanza, ma è anche almeno parzialmente giustificato dal rendersi conto di vivere un’epoca di cambiamento che in realtà, come aveva correttamente profetizzato in tempi non sospetti papa Francesco, è un vero e proprio cambiamento d’epoca.

Allora chi ha qualche primavera in più sulla carta d’identità può affermare, senza timore di smentita, che “ai suoi tempi” ci si batteva per un mondo più giusto e più equo con qualche ragionevole speranza di vedere risultati, si mettevano ai balconi e alle finestre le bandiere della pace (qualcuno le ricorda?), si partecipava attraverso, e non contro, partiti politici, associazioni della società civile ed ecclesiali, con entusiasmo e trasporto. Sgomberiamo subito il campo da questa tentazione: “ai miei tempi” c’erano le violenze della caserma Diaz; “ai miei tempi” le guerre (Balcani, Iraq, Libia, Afghanistan…) venivano combattute non di rado anche da soldati di Paesi europei; “ai miei tempi” la globalizzazione rampante mieteva vittime innocenti e costringeva a condizioni di lavoro umilianti milioni di persone. Quello che è probabilmente vero è che “a quei tempi” c’era un di più di speranza di poter, insieme, cambiare le cose.

Oggi non sembra più possibile soprattutto dalle nostre parti, tanto è vero che centinaia di migliaia di giova- ni lasciano l’Italia ogni anno, alla ricerca di opportunità di vita migliori.

Ripartire dalla speranza

Tuttavia il Giubileo di quest’anno ci richiama proprio alla speranza, e da qui è necessario ripartire, perché a ben guardare i segni di speranza non mancano. Tra questi possiamo senza dubbio ascrivere il lavoro, paziente, quotidiano, tenace e perfino ostinato, che l’Azione cattolica italiana insieme a tanti altri compagni di viaggio sta facendo in ordine alla costruzione di una rinnovata cultura di pace.

Il mese di giugno in questo senso è stato molto significativo: il convegno promosso dall’Ac e dal Fiac, il Forum Internazionale di Azione cattolica, insieme all’Istituto Toniolo a chiusura del Giubileo delle associazioni e dei movimenti, ne è un esempio; il seminario per chiedere nuovamente e con maggiore forza l’istituzione del Ministero della pace nel nostro Paese (di cui l’associazione è promotrice assieme ad Associazione Papa Giovanni XXIII, Acli e Fondazione Fratelli tutti) è un altro importante e prezioso passo in questa direzione; la presentazione della settima edizione del Bilancio di sostenibilità dell’Ac nazionale ne è un altro tassello, proprio perché dare conto degli sforzi verso un mondo più equo e giusto, più rispettoso di donne e uomini e della natura, più sostenibile socialmente e ambientalmente, è un modo per camminare sul sentiero stretto, ma indispensabile, della costruzione di una cultura della pace. 

Artigiani di pace e seminatori di speranza

Non si tratta di “sogni ingenui”, o di “proposte fatte per anime belle”, ma di essere nel concreto seminatori e artigiani di pace. Papa Leone XIV ha iniziato il suo pontificato invocando la pace, proprio allo stesso modo con cui lo aveva chiuso con un ideale testamento spirituale papa Francesco, non a caso proprio nel giorno di Pasqua in cui il Risorto dona la pace.

Tutto questo in un’epoca in cui, a fronte della richiesta di Leone di una pace «disarmata e disarmante», i Paesi sembrano impegnati in una gara a chi spende e spenderà di più in armamenti, tra l’altro, pensando alla nostra Europa, senza l’ambizione di costruire una autentica difesa comune, ma andando pericolosamente in ordine sparso.

Non perdiamo la speranza

Dopo anni di entusiasmo per la sostenibilità, anche qui sembra di vivere tempi foschi, tuttavia non per questo è lecito perdere la speranza. Un po’ perché i dati empirici ci dicono che l’impegno per il Creato va intensificato, un po’ perché comunque almeno su alcune direttrici le cose stanno effettivamente cambiando, molto perché è un nostro compito, forse meglio un nostro dovere, continuare a perseguire la linea dettata dalle encicliche ed esortazioni di papa Francesco ma che, in realtà, sono da sempre magistero della Chiesa. 

Un magistero di pace, un magistero di difesa del Creato, un magistero di speranza.

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